L’inizio di una storia (di cui credevo conoscere il continuo)

Oltre l’ingresso del numero 38 di via Mazzini non si vede nessuno.

Lo schienale consunto dello sgabello circolare, ormai nemmen più tiepido – scommetterebbe – dà le spalle al tavolo da lavoro su cui riposano gli strumenti del mestiere, mentre i suoi occhi riflessi scrutano rapidamente al di là della vetrina.

La trova al solito, apparecchiata di originali gioielli artigianali in cui pietre e metalli preziosi convolano a nozze grazie alla rara manualità di un orafo.
Rarità, la spettatrice intende, per la giovane età dell’officiante: deve esserle di poco più giovane, quel ragazzo che pur maneggia l’arte antica di unire gemme e leghe insieme per l’eternità.

Mentre il suo sguardo indugia ancora qualche secondo in cerca di conferme una certa soddisfazione le solletica il petto, come ogni volta che le riesce d’indovinare qualche cosa.

Di tanto in tanto – si sorprende a pensare – le capita di azzeccare tutte le definizioni delle parole crociate della Settimana enigmistica, ed è esattamente così che si sente quando provvede a chiudere l’ultima riga orizzontale di un sospetto, a completare logicamente una realtà senza schema che, converrete, è molto più complessa di un Bartezzaghi rassicurantemente pubblicato a pagina 33.

Come ogni martedì, ore 17.30, il bell’orafo è assente: ha lasciato il suo tesoro di preziosi custodito solamente da una serratura a doppia mandata.

Rincuorata dalla correttezza delle sue deduzioni, del “tutto secondo i piani” immaginati da una mente fin troppo fantasiosa, la ragazza stringe le braccia attorno al petto protetto da un giubbotto spesso spesso, ma non abbastanza da tenerla al caldo. Quasi un gesto automatico mentre s’avvia, un piede dopo l’altro, non troppo distante, verso la staccionata che cinge la chiesetta romanica e il piccolo giardino antistante.

Ad attenderla la solita panchina scalcagnata dalla troppa umidità romagnola.

[…]

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